domenica 18 novembre 2012

Un crudo straordinario

un paio d'articoli che raccontano lo straordinario prosciutto crudo affumicato che si produce a Cormons.




Il sogno di D’Osvaldo: un allevamento di suini per prosciutti di qualità superiore
Un tempo, quando la Cormons era veramente Cormons e i suoi mai smentiti sentimenti asburgici si affidavano alle centinaia di vagoni di susine in partenza per Vienna e le altre città dell’impero, anziché alla statua di Massimiliano I, tuttora dominante in piazza, questa cittadina del Friuli goriziano vantava un singolare primato. Da guinnes, se mai ci fosse già stato. I suoi macellai, salumieri, ristoratori sapevano infatti, da un intero prosciutto svolgere un’unica fetta, chilometrica. Oggi quest’abilità non c’è più. Scomparve – sussurrano i nostalgici – con l’arrivo degli italiani. Cormons vanta però lo stesso un primato prosciutti stico: essere sede di un gioellino firmato Lorenzo D’Osvaldo. Dei venticinque milioni di prosciutti crudi annualmente prodotti in Italia, il laboratorio D’Osvaldo ne sforna 1500 appena: una percentuale infinitesimale, uno zero virgola tanti zeri che la calcolatrice esita a prendere in considerazione. Ad assorbirli, basta qualche ristorante: come, giusto a Cormons, “Il giardinetto” degli Zoppolatti e il “Suban” di Trieste. I privati che riescono a farsi mettere in lista ne ottengono non più di uno all’anno e solo dopo aver giurato di non tenerlo in cantina, dove l’umidità toglie il profumo. Un autorevole quotidiano ne ha attribuiti quattro a Berlusconi, o meglio al suo cuoco introdotto nell’arte della diplomazia segreta. Ma la notizia è smentita (a parole, però, non anche a sorrisi) dall’interessato. Il quale sottolinea come a molti clienti in gara l’uno contro l’altro venga recapitato un trancio di prosciutto, non un esemplare intero. Figlio d’arte (il padre macellaio si esibiva anche lui con cinquecento pezzi) D’Osvaldo è un autentico coldiretto. Tutto deve essere fatto in famiglia: moglie suocero, due figli. Niente manodopera estranea, con quel che costa. Anche a rispettare questi precetti i prezzi potrebbero comunque raddoppiare, arrivare a tremila. In questo caso, però, tutta la forza di lavoro si concentrerebbe sul prosciuttificio: un conflitto con l’azienda agricola che ha ben ventisette ettari, di cui cinque a vigneto specializzato e dodici a bosco. Coltivatore di vecchio stampo, D’Osvaldo non si rassegna a puntare tutto su una carta sola. Se, per ironia della sorte, un anno i prosciutti dovessero venir male, a mandare avanti la famiglia (e i figli a scuola) basterebbero le bottiglie di Tocai, Sauvignon, Cabernet. Quanto al bosco, poi, è direttamente funzionale ai prosciutti. Da qui provengono le robinie, o acacie che dir si voglia, i ciliegi più o meno selvatici, l’alloro e le eventuali altre essenze necessarie all’affumicatura dei cosci. Gestire un’aziendina così complessa, di cui il prosciuttificio è solo il terminale, non è agevole senza salariati. E si capisce allora perché i prosciutti rimangono 1500 soltanto. Leggermente pressati in modo da assumere l’aspetto di un San Daniele, pepati oltre che salati con pepe nero indiano, i prosciutti sono affumicati sopra un camino (meglio sarebbe chiamarlo fogolar alla friulana) a dieci metri dalla fiamma, per due o quattro giorni a seconda del clima. Sul fuoco bolle una caldaia con finocchio, rosmarino, erba luisa, melissa. Niente resinose. Affumicatura non fredda ma tiepida, massimo venti gradi. In questa atmosfera religiosa la porta della stanza sacra dove il rito si compie, non si chiama più porta, bensì respiro. Pancetta e speck con aglio e coriandolo (nello speck però anche il ginepro) completano la collezione di D’Osvaldo. Il quale prosegue un sogno: allevare in proprio almeno un centinaio di maiali per nutrirli a pascolo, barbabietole di foraggio, zucche e pastoni. “Le cinquanta cosce che ancora oggi riesco a comprare da qualche contadino e non da un’industria allevatrice – sospira il Nostro –sono nettamente migliori. Certo in questo caso il prezzo del prosciutto salirebbe. Ma quando i prezzi da collocare sono 1500 questo non è un problema. Il problema è un altro, che tormenta l’intervistatore. Chi sono questi fortunati che, dopo esser stati selezionati e aver superato l’esame di abilitazione al prosciutto dosvaldiano, sono approdati al possesso di uno dei cinquanta contadini?

Travel – Anno 8 – Nr. ½ – Gennaio/Febbraio 2005 – Pag.175

Fiera dell'Est
Poco lontano, sopra Cormòns, c'è chi la propria fortuna l'ha trovata nei boschi. Varchi la soglia della grande casa di Lorenzo D'Osvaldo e t'avvolge un profumo dolce e selvatico a un tempo. D'Osvaldo è l'artista dei prosciutti leggermente affumicati: ha imparato a valorizzare quello che in realtà sarebbe un difetto del legno di ciliegio. “Ha un basso potere calorico. L'ideale per me: produce il fumo giusto, al di sotto dei venti gradi di temperatura”. Ai grossi ceppi di ciliegio vengono aggiunti fasci dall'oro e molte erbe aromatiche, inumidite con l'acqua. “Poi, la coscia affumicata viene portata nei locali di stagionatura. E ogni sera viene avvolta dall'aria che entra dalle finestre a monte”, spiega D'Osvaldo, mostrando l'anfiteatro della ripida collina dietro casa. Per dodici mesi devono maturare i prosciutti, perdendo almeno il 40 per cento del peso. E durante questa attesa hanno già un proprietario: quasi tutti i pezzi vengono prenotati di anno in anno.

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